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Gola Interviste

Schietta, autentica, comprensibile, la mia cucina

Nicola Giancarlo Gronchi, chef ristorante Romano Viareggio

Da quattro anni in una storica cucina italiana. Stella Michelin dal 1985, una storia di famiglia che si rinnova con scelte coraggiose nel segno della continuità.

Foto di Luca Managlia

Gola gioconda - Ristorante Romano Viareggio

L'intervista

Ci racconti com’è stato l’approccio con lo storico ristorante della famiglia Franceschini

Considera che avevo un anno quando nel 1985 il ristorante Romano conquista la stella Michelin. Avevo per questo ristorante un’altissima considerazione, ci venivo da bambino, conoscevo la cucina della signora Franca. C’è voluto un po' di tempo perché potessi considerare la cosa, ma oggi sento che questo menù racconta di me ma anche della storia di Romano e di Viareggio

Quali erano, se c’erano, le paure?

Quella di entrare in un ambiente consolidato e familiare ma soprattutto la clientela abituata in un certo modo come avrebbe reagito? Oggi posso dire che, grazie anche alle belle discussioni che facciamo con il signor Franceschini, stiamo bene insieme.

Una definizione per la tua cucina

Schietta, autentica, comprensibile. Cerco di levare più che mettere nel piatto, cerco di concentrare il sapore. Ovviamente l’esperienza fatta in questi anni in grandi ristoranti, anche sotto il profilo del numero dei pasti serviti mi è servita. 

Viareggio come ti sembra?

Abbiamo fatto una stagione altalenante dopo quella dell’anno scorso che era stata invece ottima. Pochi italiani in parte compensati da un bel pubblico straniero. Ma Viareggio ha qualche problema nei servizi e nel livello dell’accoglienza. Potrebbe dare di più. 

E’ il tema di questa stagione, manca il personale

Per fortuna ho una squadra affiatata, alcuni sono venuti con me altri erano già qui e sono rimasti dopo il mio arrivo. Ma il problema c’è. Penso alla sala dove ormai troppi ragazzi vedono questo come un lavoro stagionale, di passaggio e allora non c’è impegno, né volontà di crescere. E anche in cucina dove è chiaro che questo non è un lavoro normale ma per arrivare a certi livelli è indispensabile passare tante ore in cucina. Bisogna però affrontare il problema in modo più ampio con una riforma di questo settore che riconosca il lavoro di cuoco come usurante. E’ impensabile che si possa pensare di passare tutta la vita in cucina. Se ho rinunciato alle feste, alle domeniche, al Natale in famiglia non puoi poi anche chiedermi di andare in pensione a 65 o 67 anni. Il riconoscimento di questa condizione, insieme a una retribuzione adeguata almeno alle ore lavorate dovrebbe riaccendere la voglia nei giovani che tornerebbero a guardare a questa professione con interesse. 

 

di Romano Franceschini e famiglia

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