La buona erba del Pratomagno
Si torna a coltivare la canapa, fa bene all’ambiente e al territorio. Ma il governo non è d’accordo. La storia di Leonardo e André.
Sulla montagna del Pratomagno ci sono centinaia di ettari di terreni incolti, abbandonati da quando quassù non si fa più agricoltura. Quella di resistenza, povera ma che permetteva a una comunità di sopravvivere pur in condizioni difficili. Da qualche anno qualcuno fa il percorso inverso e torna a coltivare questi campi. È quello che hanno fatto Leonardo e André, due quarantenni che abbandonate le loro precedenti occupazioni si sono dedicati a lavorare la terra quassù. Producono canapa e non sarebbe una novità nella storia del nostro Paese e della Toscana. Anzi, l’Italia è stata per secoli un importante produttore di canapa grazie alle particolari caratteristiche del clima e la sua coltivazione ha aiutato a sostenersi comunità di agricoltori visto che, tra le sue caratteristiche c’è anche quella di adattarsi a crescere sui terreni più difficili. Per anni i nostri antenati si sono vestiti, nutriti, scaldati grazie a questa pianta.
Oggi la canapa è coltivata per ragioni diverse, ma i suoi utilizzi vanno comunque dal tessile al farmaceutico, dal benessere all’edilizia. Leonardo era già direttore di una tenuta agricola quando nel 2014 propose un progetto pilota per la produzione di canapa integrata all’attività farmaceutica. Lasciata quell’iniziativa, insieme a André, che invece proveniva da tutt’altro genere di occupazione, decide di dar vita a una propria attività sulla montagna del Pratomagno a 500 metri di altezza. I terreni sono incolti da anni, forse secoli. Disboscano e ripristinano affascinati anche dal fatto di poter lavorare “terreni vergini”. In poco tempo spuntano le prima piantine, bastano poche centinaia di metri perché, come ricorda Leonardo, la canapa ha una resa straordinaria, bastano 6.000 metri per avere un migliaio di piante. I prezzi del prodotto finito, in questo caso il più pregiato è il fiore, si calcolano al grammo e un grammo vale tra 1,50 e 2 euro. Da una pianta si può arrivare a ricavare fino a 500 euro. “E’ questo il motivo per cui vogliono metterci le mani” sottolinea Leonardo aprendo alla notizia diventata di attualità da quando il governo, nell’agosto scorso, ha equiparato la cosiddetta canapa light (priva quindi della molecola psicoattiva Thc) alle sostanze dopanti, vietandone quindi la vendita e la libera produzione e commercializzazione. “Abbiamo costruito la nostra attività con investimenti personali, senza aiuti statali e prestiti, aggiunge Leonardo, ma abbiamo da sempre dovuto combattere contro le lobby che si oppongono a una filiera fatta di produttori e distributori che è nata dal basso, fatta da giovani, che hanno puntato sulla qualità e salubrità del prodotto. Niente di estensivo, piccoli appezzamenti coltivati con varietà rare e selezionate secondo il più rigido regime di agricoltura Sinergica Florovivaistica”.
Niente pesticidi, contro la cimice asiatica si usano macerati di ortica e assenzio, ai terreni si aggiunge calce e gesso, contro le muffe niente rame ma un fungo antagonista che sono andati a trovare in Val d’Aosta. Ci sono poi i cinghiali da cui difendersi perché trovano la canapa ricca di minerali e a quelli ci pensa la rete di protezione. Ci vuole l’acqua, quella si, almeno 150 quintali a settimana e per questo hanno costruito pozzi e laghi.
Con un investimento di circa 150.000 euro i due amici, che producono anche un po' di vino e ortaggi, hanno messo su un’attività che sta avendo successo. È un mercato cresciuto in fretta che fa oggi dell’Italia di gran lunga il primo produttore europeo con una fetta di mercato che si aggira intorno all’80% del totale. In Toscana Leonardo rifornisce circa cento negozi con un prodotto da cui si ricavano essenze e oli, “una qualità non paragonabile a quella industriale, per questo vogliono azzerare questo mercato per ricostruirlo secondo il loro modello”. Un’attività lobbistica che, conclude Leonardo, ha trovato sponda con questo governo che “agli interessi delle multinazionali ha fatto trovare porte aperte, di più un Colosseo senza mura”.