Ogni volta che sbarco su un isola faccio lo stesso sogno a occhi aperti. Immagino che gli abitanti e i loro ospiti possano vivere, ma sopratutto mangiare, di quello che producono. Immagino un isola operosa che durante tutto l'anno si ingegna a costruire le basi per poter dar da mangiare non solo a se stessa ma anche ai tanti turisti che in estate arriveranno. E allora immagino allevamenti, campi coltivati, frutteti, piccole industrie di trasformazione. Poi sbarco, lo racconto agli amici e sopratutto ai locali e per poco non mi buttano a mare. Prendiamo l'Elba, la più grande delle isole dell'Arcipelago Toscano. Trentamila abitanti scarsi in inverno, trecentocinquantamila in estate, come li sfami? Chi glielo spiega che il salmone non risale i fiumi da queste parti e che il riso non si può coltivare? Ma io non mi arrendo, cerco una via d'uscita mi sbatto per affermare almeno il principio che qualcosa si può fare che non sia riempire le navi di tutto quello mangeremo e daremo da mangiare. Loro, siccome mi vogliono bene, mi guardano con simpatia e poi, sempre meno convinti mi danno ragione, "si qualcosa si potrebbe fare, forse domani....". Poi il custode dell'orto botanico di Rio nell'Elba mi racconta delle centinaia di specie di alberi da frutto che sono andate disperse, ma che lui con tenacia sta recuperando e di quando tutto intorno non c'era la macchia ma campi coltivati e le vigne arrivavano fino al mare... E questo non è un sogno, solo un ricordo.