Parte dalla Maremma la rivoluzione nel campo dell’olivicoltura con gli oliveti super intensivi.
Un po' c’entrano anche i cambiamenti climatici ma parecchio il fatto che l’olio extra vergine di oliva è sempre più ricercato sul mercato e il vecchio sistema di produzione non riesce più a soddisfare la domanda. I cambiamenti climatici c’entrano perché tutto spinge verso un’agricoltura di precisione, fortemente meccanizzata, con una forte riduzione di uso della mano d’opera e impianti che possano sopportare meglio le variazioni climatiche. Ma la vera differenza tra chi ha puntato sulle coltivazioni intensive o addirittura sulle super intensive la fanno le quantità. Da anni l’Italia, che pure produce un olio che è un’eccellenza assoluta, non è più al vertice dei paesi produttori scavalcata dalla Spagna (leader mondiale assoluto) ma anche dalla Grecia e presto dai paesi del Nord Africa. Così mentre da noi si abbandonano i piccoli oliveti, soprattutto in collina, sono in stato di abbandono nelle zone più vocate si assiste a un cambio di passo destinato a modificare il paesaggio e forse la qualità del prodotto. I nuovi protagonisti sono infatti gli oliveti super intensivi con oltre 2000 piante per ettaro che grossi investitori stanno piantando a partire dalla Maremma. Ovviamente niente a che fare con i vecchi oliveti, al posto delle piante secolari arrivano delle mini-piante messe a comporre dei filari e tirate su come cespugli. Tutto finalizzato alla meccanizzazione sia in fase di raccolta che di potatura. Ma l’allarme è scattato anche a proposito della qualità del raccolto perché un impianto di questo genere è adatto solo ad alcune cultivar e attualmente quelle che rispondono meglio sono quelle spagnole (Arbosana e Arbequina) e greche (Koroneiki).
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