Cosa ci racconta un formaggio
A diciotto anni si è maggiorenni. Inutile nascondersi la fanciullezza è finita, si può guidare la macchina, lavorare, mettere su famiglia. Arrivano le prime responsabilità. E ci si lascia alle spalle già qualche fase della vita, l’infanzia e l’adolescenza, per entrare nell’età matura. Pensavo a questo quando l’altra sera ho assistito al taglio di una forma di formaggio di diciotto anni. Era un Bitto, lo splendido formaggio di alpeggio di cui la Valtellina va giustamente orgogliosa. E ha ragione Plinio Vanini che nella sua azienda (La Fiorida) ha custodito quella forma fino a ora quando dice che anche quel formaggio ha attraversato le fasi della vita. Prima latte appena munto dalle mucche in alpeggio, poi la lavorazione secondo una traduzione secolare e poi quella lunga stagionatura, a riposare sulle assi di legno ma mai abbandonato. Pulito, osservato, massaggiato, custodito con amore fino a che sarà il momento di regalare a qualche fortunato il piacere di un gusto unico. E l’emozione c’era tutta quando mani esperte hanno aperto quella forma. E’ bastato uno sguardo per capire che il ragazzo era cresciuto bene. Si era fatto maturo, aveva perso la dolcezza di un tempo per acquisire nuovi profumi, una nuova consistenza. Quella forma ha raccontato meglio di mille parole la storia di passioni che anima questi agricoltori, li stessi che tengono vive tradizioni come la transumanza, l’alpeggio, l’invecchiamento dei formaggi. Passioni che difficilmente saranno ripagate dal mercato. Per la cronaca la forma di Bitto maggiorenne è andata all’asta durante la serata all’Azienda Agrituristica La Fiordida, “Il Bitto e le stelle“, dove quindici chef da tutta Italia hanno reso omaggio al “Re dei formaggi d’alpeggio“, il ricavato è andato a una associazione per la ricerca sul cancro.
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Info su La Fiorida http://www.lafiorida.com