Migliaia di varietà scomparse e una montagna di frutta al macero
Quando c’è di mezzo l’economia non credo al caso. I numeri hanno sempre una loro storia e un perché. E’ così anche per i 50 milioni di tonnellate (una cifra che non riesco nemmeno a immaginare) di frutta e verdura che buttiamo via in Europa. Le cifre le hanno calcolate all’Università di Edimburgo partendo dal caso Regno Unito che da solo contribuisce con quasi 5 milioni di prodotti agricoli destinati al macero. Ma cosa c’è in questa roba e perché non mi stupisce. C’è che è brutta, almeno secondo i canoni imposti dalla pubblicità. Le mele non sono tutte uguali, le pere sono troppo bitorzolute, le bietole sforacchiate e così via. I grossisti nel timore di non venderle non le ritirano e così finiscono (nel migliore dei casi) a concimare la terra. Ma questo non mi stupisce perché è un risultato a cui siamo arrivati lentamente ma con pervicacia. Basti pensare al caso delle mele. Oggi sul mercato arrivano meno di dieci varietà ma appena un secolo fa erano migliaia, solo in Europa si potevano contare almeno tremila varietà di alberi. In cinquanta anni poco più, le ferree leggi del mercato hanno decretato la scomparsa di un enorme varietà di frutti. Si sono salvate (meglio sarebbe dire hanno salvato e son addirittura riprodotto) quelle che meglio si adattano al mercato, non necessariamente le più buone. Ne sappiamo qualcosa anche in Toscana dove faticosamente stiamo cercando di recuperare questi frutti dimenticati. A Londa per esempio nella Val di Sieve è il caso della pesca Regina destinata alla scomparsa perché di forma irregolare e quindi non adatta a stare nelle ceste per il trasporto. Oggi gli chef la cercano e gli agricoltori hanno ripreso a coltivarla. Difficile trovarla lontano da casa, è un frutto delicato, quasi fuori stagione, ma non è anche questo un pregio?