Come si distrugge il made in Italy
Giuseppe l’idea l’aveva avuta per tempo. Alla fine degli anni novanta apre un ristorante italiano a Pechino. La zona è quella giusta, vicino alle ambasciate, ma lui non disdegna la clientela locale che almeno nella capitale qualche soldo comincia ad averlo. Divide il ristorante in due, a sinistra si mangia italiano davvero e sopratutto pizza, a destra accetta la contaminazione. Giuseppe è scaltro e gli affari vanno bene. La sua pizza è buona anche per uno come me. Non erano ancora i tempi della doppia lievitazione, dei grani antichi e delle farine scelte ma sugli ingredienti Giuseppe non scherza. Ogni giovedì dall’aeroporto Capodichino a Napoli parte un container e dentro ci sono sempre le mozzarelle campane e i pomodorini del Vesuvio. Senza, Giuseppe non potrebbe fare la pizza. Un giorno nel ristorante entra un signore, parla italiano ma l’accento è americano. Sono canadese, dice, e vendo mozzarella. Giuseppe sorride, grazie ma io ho la mia e non ci rinuncio. Lo farà, sorride ironico il canadese, perché il suo volo Alitalia da Napoli sta per essere soppresso. Se vuole mozzarella c’è la mia, la nostra compagnia aerea ha appena raddoppiato i voli cargo su Pechino. Giuseppe fa spallucce, pensa sia uno scherzo, ringrazia e rifiuta. Poche settimane dopo Alitalia annuncerà che mentre tutto il mondo sta per scoprire la nuova rotta degli affari sopprime i propri voli merci per la Cina sopraffatta dai debiti. E oggi che mozzarella c’è sulla pizza di Giuseppe?