Sanità, conoscenza e alimentazione. E' l'agroecologia.
G.Cesare Pacini L’agroecologia è una disciplina scientifica e allo stesso tempo un modo di agire, ricerca in azione, comunità che ricerca il modo migliore per nutrirsi, conservare le risorse naturali e utilizzarle in modo sostenibile. È anche un paradigma che ha bucato lo schermo in un mondo che vive di comunicazione, e in quanto tale rischia di essere strumentalizzato per il green washing di pratiche quasi-sostenibili o per-nulla-sostenibili. L’agroecologia ha fortunatamente degli anticorpi forti dovuti al fatto che nasce dal pensiero e dall’opera di persone in lotta per emanciparsi dalla povertà, da sistemi agro-alimentari che degradano l’ambiente di vita delle comunità rurali e al contempo non sono in grado di generare alimenti sani per le popolazioni urbane. In città si sta formando una consapevolezza nuova sull’importanza che hanno tutti gli attori della filiera agro-alimentare, incluso chi mangia. Non esiste agricoltura sostenibile se il prezzo di quello che si produce non è giusto, non basta a remunerare il lavoro e i capitali investiti, se per produrre di più l’unica soluzione è inquinare di più e distruggere la biodiversità, se la distribuzione del valore lungo la catena alimentare è iniqua, se per mantenere bassi i costi di produzione si sfrutta il lavoro. Forse l’unica buona cosa che si è portata dietro la terribile pandemia del Covid-19 è che ci ha fatto riflettere su quelli che sono i nostri bisogni essenziali, gli unici che sono stati garantiti in un momento di forzato blocco di molte attività di produzione: sanità, scuola (ovvero conoscenza) e alimentazione. È singolare il fatto che il paradigma dell’agroecologia li includa tutti e tre in maniera determinata e inconfondibile. Per la FAO (Food and Agriculture Organization of United Nations) i 10 elementi chiave dell’agroecologia sono diversità, co-creazione e condivisione delle conoscenze, sinergie, riciclo, efficienza, resilienza, valori umani e sociali, tradizioni culturali e alimentari, economia circolare e solidale, governance resposabile. Nelle declaratorie dei 10 elementi si legge che l’agroecologia sostiene diete sane e valorizza il patrimonio e la cultura del cibo locale, contribuendo alla sicurezza e alla nutrizione per gli animali pur mantenendo la salute degli ecosistemi. L’agroecologia cerca di ricollegare i produttori e i consumatori attraverso un'economia circolare e solidale che privilegia i mercati locali e sostiene lo sviluppo territoriale, aiutando a rispondere alla crescente domanda da parte dei consumatori di diete più sane. L'agroecologia dipende dalla conoscenza specifica del contesto. La conoscenza svolge un ruolo centrale nel processo di sviluppo e implementazione di innovazioni agroecologiche per affrontare le sfide tra i sistemi alimentari. Attraverso il processo di co-creazione, l'agroecologia combina la conoscenza tradizionale, indigena, pratica e locale dei produttori con conoscenze scientifiche universali. L’agroecologia mette in pratica sistemi di produzione alimentare diversificati, sinergici, efficienti e resilienti. Molti di questi elementi sono già in essere e forniscono esempi di buone pratiche per sistemi agro-alimentari veramente sostenibili. Pensiamo a tutte le agricolture di tipo biologico quali agricoltura biologica e biodinamica, agricoltura naturale, permacoltura, agricoltura sinergica o ad una sempre più vasta gamma di agricolture di tipo urbano e peri-urbano messe in atto con successo in diverse parti del mondo come ad esempio gli organoponicos a Cuba, gli orti urbani in Argentina, tutte le esperienze, anche italiane, di community supported agriculture (CSA, in italiano, agricoltura sostenuta dalla comunità), il sack farming in tante città africane. Molto altro può essere ancora fatto, ma in quale direzione? Cosa manca per rendere sempre meno utopistici i principi ecologici e sociali che stanno alla base dell’agroecologia e sempre più percorribili le strade già intraprese? Dobbiamo migliorare le tecnologie? Certo, quello sempre. Senza l’innovazione tecnologica, o meglio la co-innovazione sviluppata dalla sintesi di conoscenze locali e conoscenze scientifiche universali, non sarà possibile affrontare le sfide alimentari e ambientali generate da una popolazione mondiale in continuo incremento demografico. Eppure studi recenti di modellistica pubblicati su Nature ci dicono che l’agricoltura biologica combinata con diete caratterizzate da meno proteine animali e più proteine di origine vegetale potrebbe tranquillamente fornire abbastanza cibo per sfamare una popolazione mondiale di più di 9 miliardi di persone nel 2050 (Mülller et al., 2017). Dobbiamo inventarci nuove architetture ecologico-sociali più giuste? La strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni. Probabilmente non esiste la soluzione perfetta e non aiuta continuare a cercare forme utopistiche generalizzate che realizzino in maniera standardizzata l’idea di giustizia sul pianeta. Serve sì giustizia, anche dei prezzi, serve anche equità nell’accesso alle risorse ma il modo di raggiungerle non può che essere diverso e tipico di ciascuna comunità, piccola o grande che sia. E anche in questo caso abbiamo hic et nunc disponibili una vasta gamma di soluzioni, dalla CSA ai gruppi di acquisto solidale alle altre varie forme di agricoltura civica. Quale direzione allora? Io penso che due siano gli elementi che necessitano di ulteriore attenzione nella definizione di strategie di gestione sostenibile dei sistemi urbani e rurali: condivisione e riciclo. Condivisione delle conoscenze – abbiamo visto – ma anche condivisione degli obiettivi, della gestione della fornitura e dell’acquisto di prodotti e servizi agro-alimentari e ambientali, dell’organizzazione del lavoro di chi produce e del tempo libero di chi volontariamente partecipa allo sviluppo in senso sociale e culturale della prospettiva agroecologica. Nelle declaratorie FAO si legge che l'agroecologia cerca di ricollegare i produttori e i consumatori attraverso un'economia circolare e solidale che privilegia i mercati locali e sostiene lo sviluppo territoriale. Tuttavia non sempre è chiaro come si possa ottenere un risultato così ambizioso, soprattutto quando le dimensioni di scala sono grandi. La condivisione di obiettivi, sistemi di gestione e di organizzazione è un passo avanti in questa direzione ma in assenza di un’organizzazione logistica evoluta rischia di essere inefficace. Vi è la necessita di creare, o meglio ripristinare, le connessioni economiche, sociali ed ecologiche tra sistemi urbani e sistemi rurali appartenenti ai soliti territori. Un primo passo in un’ottica di economia circolare può essere compiuto accoppiando alla fornitura di alimenti da produttori locali a consumatori organizzati in collettività (ad esempio, gruppi di acquisto solidale, mense scolastiche o aziendali, mercati contadini co-gestiti) sistemi di riciclo dei nutrienti basati sulla raccolta e il controllo certificato di qualità di rifiuti organici selezionati conferiti dai gruppi di consumatori agli agricoltori, magari integrati con i residui della gestione del verde urbano. Un po' quello che avviene tra il comparto degli allevamenti e il comparto foraggero-cerealicolo in un’azienda ad ordinamento produttivo misto, ma su una scala ben più ampia dove l’“elemento animale” è dato dalla popolazione della città e l’elemento di produzione vegetale è dato ad esempio dall’insieme di aziende orticole e frutticole collocate in ambito urbano e peri-urbano. È questo solo un esempio di economia della condivisione (sharing economy) applicato a vantaggio di un sistema di economia circolare. Da un punto di vista logistico non è facile da attuare ma è pur vero che, soprattutto in un’ottica di aumento della popolazione dei centri urbani fino al 70% a livello mondiale, sarà sempre più necessario ristabilire un equilibrio dei flussi di materia tra sistemi urbani e sistemi rurali. Vincere una tale sfida vorrebbe dire migliorare le diete delle popolazioni urbane, migliorare le economie delle popolazioni rurali e migliorare lo stato dell’ambiente in generale ma richiede uno sforzo congiunto di organizzazione da parte di tutti gli attori, inclusi agricoltori, consumatori, ricercatori e politici responsabili delle pratiche di governance locale.
G.Cesare Pacini