È tempo di ripartire. Con più politiche ambientali
In occasione della Giornata Mondiale della Terra Legambiente lancia un flash mob virtuale per tenere alta l’attenzione, anche in questo momento drammatico della nostra storia, sulla cura del pianeta. Da più parti, infatti, si levano voci sul fatto che per rilanciare la nostra economia dopo la gelata indotta dalla pandemia, sarebbe meglio mettere da parte le politiche ambientali. Niente di più miope e sbagliato. La gravità, infatti, delle questioni che sormontano la condizione umana è tale che non ci possiamo più permettere settorialismi autoreferenziali. L’11 maggio 2019 è stato sfondato il muro delle 415 parti per milione (ppm) di concentrazione media di anidride carbonica (CO2) in atmosfera. Agli albori dell’era industriale (primo trentennio dell’Ottocento), la quota si attestava stabilmente, da secoli, a 280 ppm. La comunità scientifica è ormai concorde nell’individuare la soglia delle 450 ppm come il “punto di non ritorno” per la nostra specie. Ossia, un limite che, se superato, ingenererebbe conseguenze irreversibili per la nostra vita sul Pianeta. Ebbene, se questa è la cornice nella quale agiamo e riflettiamo, dando per acquisito quell’istinto di “empatia” naturale verso i nostri simili e le future generazioni che abbiamo allenato in queste settimane di emergenza sanitaria, è di tutta evidenza che dovremmo reagire. Subito e senza indugi. A tutti i livelli, globali e locali. Il primo principio sul quale fondare ogni futura politica pubblica è il ribaltamento del paradigma della crescita. Passare da un modello lineare basato sull’assunto fisico: produci, consuma, dismetti a un modello circolare, strettamente incardinato agli imperativi ecologici: riduci, riusa, ricicla significa però capovolgere la nostra visione del mondo. Assumere onestamente questo assunto, poi, nelle politiche degli spazi pubblici porta conseguenze enormi. Perché assumere il principio dell’economia circolare mentre imperversano le due crisi più gravi che il nostro Pianeta abbia mai conosciuto (pandemica e climatica), significa prender coscienza del fatto che i nostri paesaggi dovranno “sopportare” trasformazioni e adattamenti di natura epocale. In vista di una loro auspicabile e armonica resilienza. “Consumo di suolo vergine zero” non significa infatti immobilismo inerziale. Al contrario, questo input radicale evoca e induce a recuperare, riqualificare, rigenerare meglio quei tessuti letteralmente sfregiati da una crescita dissennata e senza qualità. La pur meritoria stagione degli standard urbanistici, che ha salvato il salvabile all’indomani del boom economico, dotando quanto meno di stock minimi di spazi pubblici e di verde le nostre città, va superata. Ma non al ribasso. Bensì ribaltando totalmente l’ottica con cui approcciamo il bene comune suolo. In un comparto urbano del XXI secolo, al tempo del global climate change, l’area verde permeabile all’acqua non può più essere l’eccezione, com’è stata nella città moderna della crescita lineare fordista. Deve essere la regola. Da questo punto di vista, contrapporre città e territori resilienti a fenomeni meteorologici sempre più estremi e frequenti, significa demolire e ricostruire un’intera concezione dell’urbanesimo. Con criteri, materiali e requisiti tecnologici completamente diversi. E, soprattutto, diremmo: migliori. La fase che ci attende, che qualcuno ha già chiamato Green New Deal, non ci deve spaventare. Ci deve invece responsabilizzare, tutti. Sapendo che ciascuno di noi, col proprio ruolo e l’esercizio della propria piccola quota di potestà collettiva, se coopera con onestà, equilibrio e intelligenza per la buona riuscita di questa impresa, può fare molto. Di più: moltissimo. Abbiamo bisogno degli Stati Uniti d’Europa. Abbiamo bisogno di una reindustrializzazione verde, accompagnata da un ripensamento ecologico di tutte le nostre attività. È tempo di abbandonare il turbocapitalismo finanziario e la distruzione di biodiversità che ci ha condotti nel tunnel lugubre della pandemia. È tempo di ripartire. Con audacia e carità, come direbbe con impareggiabile efficacia Papa Francesco. In attesa di riabbracciarci, abbracciamo intanto la Terra, perché è l’unica che abbiamo. https://www.legambiente.it/abbracciamola/
Fausto Ferruzza