Per affrontare le sfide future occorre lasciarsi alle spalle il modello di agricoltura intensiva
La Giornata Mondiale della Terra nel mezzo della crisi sanitaria legata al Coronavirus impone serie riflessioni sulle cause che l’hanno determinata. Molti approfondimenti di studiosi e di organizzazioni di varia natura indicano la stretta connessione tra le attività dell’uomo e il loro impatto sulla natura come una delle ragioni principali della crisi che stiamo attraversando Queste analisi sono basate sui dati di numerosi rapporti a livello internazionale che evidenziano la ricaduta delle diverse attività umane sull’ambiente. Uno dei più recenti, il rapporto IPBES (Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services dell’ONU) del 2019 fotografa un declino della natura senza precedenti. Dall’indagine emerge infatti che il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino sono stati modificati in modo significativo e che circa 1 milione di specie animali e vegetali rischiano l’estinzione. Questa perdita è il risultato diretto dell’attività umana e costituisce una minaccia concreta al benessere e agli equilibri ecologici. Il Rapporto evidenzia, inoltre, che dal 1980 le emissioni di gas serra sono raddoppiate generando un incremento delle temperature medie globali di almeno 0,7 gradi centigradi, con previsioni di ulteriori aumenti nei prossimi decenni. Quello che ormai appare evidente è che le molteplici crisi che stiamo attraversando, da quella ambientale a quella climatica a quella sanitaria, sono tutte facce della stessa medaglia che rendono necessario un cambio di modello produttivo e di consumo verso un nuovo paradigma fondato sul rispetto della Terra e della salute umana. Un altro aspetto, che emerge con grande evidenza dalla crisi sanitaria che stiamo attraversando, è il ruolo fondamentale dell’agricoltura come garanzia per la disponibilità di cibo per i cittadini che impone di ripensare il concetto stesso di sicurezza alimentare, mettendo in primo piano l’importanza di garantire l’approvvigionamento locale del cibo, con sistemi alimentari in grado di continuare a funzionare anche di fronte alle emergenze. Ora più che mai è urgente avvicinare chi consuma a chi produce, creando la comunità locale del cibo, facendo rete tra agricoltori e cittadini anche per essere in grado di sostenere i segmenti più deboli e vulnerabili della popolazione. Ma l’agricoltura rappresenta un’attività strategica anche per la cura della Terra. Gli agricoltori svolgono una funzione fondamentale per questo e sono portatori di una responsabilità che riguarda l’intera collettività perché il metodo con il quale coltivano la loro terra ha ricadute che riguardano tutti i cittadini. Oggi più che mai è chiaro che occorre dare nuovo valore all’agricoltura, che può costituire uno dei settori determinanti su cui puntare per la ripresa economica dopo la crisi causata dall’emergenza Coranavirus. Ma per affrontare le sfide future occorre lasciarsi alle spalle il modello di agricoltura intensiva, che è stato prevalente fino ad oggi, cambiando il modo di produrre verso l’agroecologia, di cui l’agricoltura biologica e biodinamica rappresentano gli esempi concreti più diffusi e che assicurano resilienza e sostenibilità contribuendo a contrastare il cambiamento climatico. La salute della Terra e degli ecosistemi da cui dipendiamo si sta deteriorando molto rapidamente, dobbiamo cambiare rotta al più presto, per rispondere alle esigenze del presente senza compromettere la capacità di rispondere ai bisogni del futuro.
Maria Grazia Mammuccini, Presidente FederBio